
Animali sociali o animali social?
Articolo a cura di Chiara Cutilli
Una caratteristica fondamentale della specie umana è la socialità. Lo stesso filosofo greco Aristotele, nel suo libro intitolato “La Politica” espresse il concetto dell’uomo come animale sociale, tendente per natura ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società.
Da un po’ di tempo a questa parte, questa caratteristica che ha sempre contraddistinto la nostra natura si è inevitabilmente indebolita. La pandemia ci ha divisi, obbligandoci a restare chiusi nelle nostre dimore per molto tempo, al fine di evitare il contagio. Una volta superata la fase più critica, con l’approdo dei vaccini, si è fatta viva la speranza di poter tornare a socializzare dal vivo, pur sempre con le giuste accortezze che non devono mai mancare.
La riflessione che però scaturisce da questa situazione è la seguente: da animali sociali quali eravamo e quali siamo sempre stati, abbiamo mutato la nostra essenza in qualcosa di diverso?
Soprattutto durante il periodo di quarantena obbligata che tutti abbiamo vissuto isolati dal resto del mondo, ad intensificarsi è stato l’utilizzo dei social per tenerci in contatto: videochiamate e utilizzo di app di messaggistica quali Whatsapp e Telegram. A causa di questa condizione particolare che si è presentata ormai nelle nostre vite ben due anni fa, sono stati sperimentati nuovi approcci alla didattica, per permettere di continuare ad imparare, evitando di vanificare anni importanti dedicati alla formazione di ogni studente, perciò i professori si sono dovuti adattare a un diverso modo di insegnare, trasferendosi su piattaforme quali Zoom, Microsoft Teams, Google Classroom e molte altre…
Ciò che si nota è però anche un incremento dell’utilizzo della condivisione delle nostre vite e della nostra quotidianità su social come Instagram, Facebook e chi più ne ha più ne metta. Si è arrivati ad un uso quasi spasmodico dei social, che se inizialmente sembrava aver ridotto le distanze, alla lunga ha portato semplicemente ad un allontanamento quasi radicale tra le persone.
Quando finalmente si è verificata una fase di ripresa da questo incubo, è iniziata anche una fase di vera e propria “dipendenza dai social”.
Alcuni individui hanno sfruttato queste reti di comunicazione digitale in positivo, avviando numerosi progetti di varia natura e offrendo il proprio sapere gratuitamente, ma è allo stesso modo importante prendere in considerazione l’alto tasso di persone che hanno subito un vero e proprio attaccamento al mondo tecnologico, favorendolo addirittura ai rapporti sociali vissuti dal vivo.
Il quesito che sorge spontaneo porsi è: siamo ancora animali sociali o siamo forse diventati, inconsapevolmente, animali social? E’ una domanda lecita, in quanto ormai una grande maggioranza di persone preferisce la comunicazione digitale alla comunicazione diretta e quando è possibile, condivide ogni momento della propria vita con i followers.
Lo stato di natura dell’uomo: riflessioni sulla solitudine
A questo proposito potremmo quindi chiederci se la definizione di animale sociale fornitaci da Aristotele sia perfettamente veritiera o meno, prendendo in considerazione delle posizioni diverse. Per esempio, se adottassimo l’ottica del filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseu, diremmo che l’uomo in stato di natura è sempre stato buono, ma con il nascere della società è diventato spietato, provando invidia e disprezzo per chiunque. Effettivamente nell’opera pedagogica del nostro filosofo, l’Emilio, l’omonimo personaggio principale è educato dal maestro al di fuori della società, in totale solitudine, stando solamente a contatto con la natura, che si rivelerà l’unica fonte di insegnamento per il bambino.
Per provare a smentire questa posizione prendiamo in considerazione il famoso psicologo Robert White, che condusse un interessante studio sulla solitudine: rilevò una forte diffusione di questa condizione soprattutto nelle grandi città. Gli studi di White rilevano il fatto che in realtà la solitudine non possa essere vista positivamente, bensì come una vera e propria piaga, quindi è una tesi opposta a quella di Rousseau.
Se per il nostro filosofo la solitudine rappresenta una condizione sine qua non per condurre una vita felice e per estrinsecare la propria bontà originaria, per White è una vera e propria malattia.
Gli uomini, secondo la visione dello psicologo statunitense, hanno bisogno della socialità: prima di tutto hanno bisogno che qualcuno li ami e in secondo luogo hanno necessità di empatizzare con qualcuno, sperimentando il sentimento dell’amore, del prendersi cura dell’altro. Per comprendere bene quest’ultimo passaggio potremmo fare l’esempio del fenomeno della Pet Therapy: le persone anziane adottano o comprano animali domestici come cani o gatti, trovando in loro dei compagni fedeli ai quali dedicare attenzioni.
Alla luce di tutte queste diverse considerazioni, potremmo concludere asserendo che la relazione tra gli uomini sia assolutamente necessaria, in quanto permette di crescere attraverso il confronto e porta ad un miglioramento di se stessi. Perché questo avvenga è però importante intessere dei rapporti intensi, possibilmente vissuti a stretto contatto l’uno con l’altro.
Ciò non sta a significare assolutamente che non si possano stringere delle amicizie o delle relazioni a distanza. Ma dovremmo tornare a sentire quel bisogno intrinseco in ogni uomo di stringersi, prendere un caffè e guardarsi negli occhi.
Chiara Cutilli
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