
C’è sempre un margine per la felicità: intervista a Biancospino
Biancospino, pseudonimo di Letizia Maria Antonia Vaccariello, è una cantautrice, autrice e
musicista nata a Barletta il 28 Ottobre 1992.
Le sue canzoni, come le definisce l’artista, “sono la cartina geografica della mia vita”.
“Storia d’umore” è il suo ultimo singolo, con il quale la cantante segna il suo esordio nel genere indie pop. Attraverso un sound moderno che tuttavia strizza l’occhio alla grande scuola del cantautorato italiano, e grazie a un sapiente uso della parola, Biancospino riesce a comunicare il suo messaggio: c’è sempre un margine per la felicità e sta nel riconoscere che ognuno di noi è giusto e perfetto così com’è.
Potete seguire Biancospino su Instagram, YouTube e Spotify.
In collaborazione con l’ufficio stampa Poly Promotion.
Ecco qui la mia intervista per conoscere meglio questa straordinaria artista!
Come nasce la passione per il canto e per la scrittura?
La passione per il canto e per la scrittura nascono, da quel che ricordo, nella mia infanzia. Scrivere è
un’inclinazione sviluppatasi grazie a mio padre. Scriveva poesie per mia madre che lasciava sul suo
comodino o le regalava nelle occasioni importanti. Questa immagine mi ha ispirata e influenzata
facendomi innamorare del potere della parola.
Il canto invece, a detta dei miei genitori, è una cosa che mi
accompagna dai primi anni di vita. Mi raccontano che non facevo altro che cantare, anche prima di
imparare davvero a pronunciare bene le parole. Deduco quindi che la mia urgenza di condividermi sia
nata prima della mia consapevolezza sul come farlo.
Perché il nome d’arte “Biancospino”?
Sono sempre stata affascinata dagli opposti e dalla loro coesistenza. Mentre cercavo un nome d’arte che
risuonasse con quella che sono, ho avuto un’epifania: Biancospino! Mi emozionò vedere in una parola
due immagini completamente opposte, il bianco come simbolo di purezza e lo spino come ruvidità, capaci di convivere nell’immagine di un fiore. Solo dopo scoprii che quello stesso fiore veniva utilizzato in
omeopatia per curare il cuore e combattere l’ansia. La speranza quindi è quella di curare il mio cuore con
ciò che scrivo e aiutare gli altri a far lo stesso con le proprie cicatrici.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Sono cresciuta ascoltando Mango e Zucchero. Mia madre li ascoltava sempre mentre stirava ed io,
dacché ricordi, ero con lei in cucina mentre la radio suonava “nonostante tu sia la mia rondine andata via”
oppure “e mi fa piangere, sospirare, così celeste, she’s my babe”. La mia evoluzione a livello di ascolti
poi, guardandola a ritroso, è piuttosto inaspettata. Da Mango e Zucchero sono passata alla Walt Disney,
Marilyn Manson, Fabri Fibra, poi il cantautorato italiano alla De Andrè, Guccini, Nomadi e così via. Solo
dopo aver iniziato a scrivere invece ho conosciuto Carmen Consoli, la mia “cantantessa” italiana preferita. Da qui ho spaziato da Donatella Rettore ad Alanis Morrissette (che tra gli ascolti esteri rimane il mio preferito, soprattutto riguardo i testi), fino ad arrivare all’indie e nuovo cantautorato italiani: vedi gli
Afterhours, Ministri, Baustelle, Mannarino, Brunori Sas, Calcutta. In tutto questo ho sempre ascoltato
parallelamente Chopin, per cui provo un batticuore.
Non credo di aver avuto influenze specifiche, di quelle che ti fanno dire “voglio essere anch’io come
lui/lei”, ma più tante ispirazioni a volere essere “anch’io, come me”.
Quanto sono autobiografiche le tue canzoni?
Le mie canzoni sono autobiografiche. Salvo alcune dettagli che per esigenze melodiche, sillabiche o
ritmiche, si adattano all’esigenza della canzone, le storie che racconto nascono dalle esperienze che ho
fatto nella mia vita. A differenza di quando scrivo per altri, in cui metto a disposizione la mia creatività
per vestire le storie e sentimenti altrui, non riesco a scrivere per me cose che non ho vissuto davvero. Non
sono capace di scrivere o cantare qualcosa che non mi abbia realmente attraversata. Questo perché per me il canto e la scrittura nascono da un’urgenza, e se non ho nulla da dire non vedo il motivo di fingerla.
Hai partecipato a numerosissimi stage e seminari con personalità importanti del settore: quale tra queste esperienze ti ha dato di più?
Forse lo stage che mi ha lasciato più il segno è stato quello con Pino Scotto. Ci raccontò di quando, agli
inizi della sua carriera, lavorava in fabbrica, smontava, andava a suonare, rientrava e subito riattaccava a
lavorare. Il tutto in loop fino a quando non è riuscito a trasformare poi la sua musica nella sua fonte di
sostentamento principale. Questa cosa mi ha colpito perché in lui c’era quell’urgenza, quel bisogno di
musica, di creare, di fare qualcosa che non fosse solo mero galleggiare. Voleva lasciare un segno, voleva
fare la differenza, non solo timbrare il cartellino in attesa del giorno finale. Poi ha cantato “Wish You
Were Here” dei Pink Floyd, accompagnato alla chitarra da Gianni Colonna. E certi artisti capisci che sono
artisti quando in una stanza, con poche luci e tanto silenzio, ti fanno ricordare cosa significa esistere
davvero, anche solo per il tempo di una canzone.
“Storia d’umore” segna il tuo debutto indie pop. Parlaci di questa canzone: come nasce?
“Storia d’umore” nasce durante il primo lockdown. Lavoravo in un covid hotel. Una sera rientro in
camera, imbraccio la chitarra e inizio “come se bastasse uno sguardo per fare l’amore…”. Nel giro di
quindici minuti avevo scritto il ritornello. Il giorno seguente ricordo che dissi di avere voglia di andare a
Firenze. Ovviamente non potevo farlo, ma era un desiderio talmente forte che decisi che almeno avrei
potuto immaginarmelo. E così scrissi: “Firenze è un’occhiaia, il tuo volto sconvolto, io dentro il tuo
abbraccio m’immagino l’Arno…”.
E’ nata così da sé. In un periodo in cui non si poteva uscire da casa, una canzone è uscita dalla mia trincea e mi ha portare a fare un viaggio bellissimo.
Qual è il messaggio che vuoi giunga al tuo pubblico grazie alla tua musica?
Che siamo “giusti” così come siamo nel momento in cui ce ne accorgiamo e c’è sempre un margine per
la felicità.
Quali pensi siano i tuoi punti di forza come musicista?
Il mio punto di forza credo sia la mancanza di pudore, inteso come mancanza di censura, perché la
verità, secondo me, non ha bisogno di packaging né di permessi.
Il videoclip del brano è affascinante ed enigmatico ma tuttavia semplice. Cosa vuole trasmettere e come è stato realizzato?
Il videoclip di Storia d’umore è stato realizzato una domenica di novembre, a Pisa, tra i vicoli e i
murales a cielo aperto della città.
Il videoclip punta a descrivere il dualismo tra come siamo e come vorremmo essere, da soli e con gli altri
e quanto la nostra zona di comfort spesso aiuti a confondere le idee.
Ci sono ambientazioni punk 77 e si punta tutto sulla figura della protagonista che appare in prima persona nelle vesti delle due personalità.
Le riprese sono state curate da Fabiana Di Baldassarre, mentre l’idea della storia e il montaggio sono di
Gianni Colonna.
Progetti futuri?
Scrivere, suonare, pagare le bollette.
Potete seguire Biancospino su Instagram, YouTube e Spotify.
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Giulia Scialò
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