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Interviste/Recensioni

“Il dolce Re dei tasti”: intervista a Davide Piero Runcini

Davide Piero Runcini è un compositore genovese che si è saputo distinguere nel panorama musicale nazionale per la sua spiccata sensibilità, la tecnica brillante e una scrittura notevolmente matura. Apprezzato dalla critica che lo ha definito “il dolce Re dei tasti“, Davide ha anche dato vita, al fianco della pittrice nonché sua moglie Arianna Defilippi, ad un progetto volto allo studio della sinestesia tra suono e colore.

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Ecco qui la mia intervista per conoscere meglio questo eccellente compositore!

Raccontaci brevemente di te. Come hai scoperto la musica? E quando e come è nata la passione per la composizione?

Non so di preciso come ho scoperto la musica. Ho sempre avuto in testa di volerlo fare da che mi ricordi, sebbene non sia nato in una famiglia di musicisti (mio padre suonava un po’ la chitarra e cantava, aveva un gruppo negli anni ‘70 e mia madre aveva da bambina il sogno di fare danza classica, ma entrambi non erano professionisti).

Non sono stato avviato alla musica precocemente, ma mi ricordo che quando ero bambino volevo sempre giocare a “fare i musicisti” insieme ai miei fratelli. Fino a quando poi non sono arrivato proprio ad organizzare con mio fratello maggiore e altri amici una vera e propria band. Abbiamo quindi iniziato a scrivere dei pezzi. E da lì ho iniziato a rendermi conto di quanto sentissi l’esigenza di scrivere le cose che avevo in testa.

Mi ricordo che mi feci insegnare da un amico, un compagno di scuola che suonava la tromba nella banda del paese, a scrivere le note: avevo trovato una melodia che avevo in testa e volevo scriverla. Così ho scritto la mia prima melodia. Successivamente mi sono fatto regalare una tastiera. Avrò avuto 9 o 10 anni ed è stato allora che ho iniziato a suonare tutti i giorni da solo per due anni, fino a quando poi- finalmente- non mi hanno mandato a lezione di pianoforte. E da lì non ho mai smesso e non ho mai pensato di smettere e non ho mai pensato di di fare qualcos’altro.

Per questo mi sento fortunato. Perché se da un lato è vero che mi sarebbe piaciuto essere avviato prima allo studio della musica, dall’altro sento che la mia fortuna è stata quella di non aver mai avuto dubbi e di non aver mai cambiato idea.

L’interazione tra musica e pittura è centrale nei tuoi lavori e anche in passato hai realizzato delle mostre-concerto al fianco della pittrice, nonché tua moglie, Arianna Defilippi. Come è nata l’idea di sviluppare questo studio sulla sinestesia tra colore e suono? Perché è importante per te?

Il discorso della sinestesia, dell’interazione tra musica e pittura si collega un po’ a ciò che ho detto prima: non essendo stato avviato alla musica sin da piccolo quando sono arrivato all’età delle scuole medie avevo capito che, una volta terminate, non avrei potuto scegliere il conservatorio poiché molto probabilmente non sarei riuscito ad entrare. Non avevo ancora raggiunto il livello adeguato. Inoltre non avevo ancora perfettamente le idee chiare sul fatto che quella del Conservatorio sarebbe stata la mia strada.

Così ho scelto il liceo artistico perché mi sembrava il più affine a ciò che mi piaceva, ricco di persone molto interessanti e variegate (tutt’oggi ho amicizie stupende che mi porto dietro da lì), e anche perché la pittura e le arti figurative mi sono sempre interessate. È stata dura ma sono riuscito così a frequentare il liceo artistico e nel frattempo mettermi in pari con la carriera del Conservatorio.

Mia moglie, Arianna Defilippi, l’ho conosciuta tramite un’amica del liceo. Da tutto questo preambolo è nata poi la nostra collaborazione. E’ stato un processo assolutamente naturale, ci è venuto spontaneo. Devo dire poi che mi sono sempre sentito un “musicista sinestetico“. Ricordo ancora che la mia tesina della maturità sul fregio di Klimt dedicato alla nona sinfonia di Beethoven. Ho sempre avuto questa cosa: da ragazzino ascoltavo le sinfonie al buio perché mi piaceva vedere le immagini che la musica nel buio mi suscitava. Ero sempre in cerca di qualcosa che rappresentasse ciò che immaginavo con la musica.

Mia moglie aveva fatto un percorso simile nel frattempo, ma lo possiamo definire inverso, se vogliamo: lei amava l’opera e quando dipingeva nella sua casetta, nell’orto di suo padre, metteva La Traviata o altre opere. Questa è stata la cosa che più di tutte in assoluto ci ha legato indissolubilmente. E perciò la nostra collaborazione è nata così, perché non poteva succedere altrimenti. 

Scrivere nel XXI secolo è senza dubbio molto difficile: il bagaglio culturale che ci ritroviamo alle spalle è immenso. Quali sono secondo te i vantaggi e gli svantaggi del comporre nel nostro periodo storico?

Questa domanda è molto bella e interessante. Ti ringrazio. Senza dubbio difficile da un lato, ma dall’altro facile. Lo trovo difficile soprattutto da un punto di vista non dello scrivere bensì del vivere. Nel vivere come compositori, nel vivere di musica. Perché comunque c’è una una cultura falsata per non dire un’ignoranza dilagante. Tanti dicono che non si è mai consumata così tanta musica come in questo secolo. Sì, è vero, però è anche vero che mai come in questo periodo forse c’è confusione di cosa davvero sia l’arte dei suoni. Io non voglio denigrare alcun genere musicale Però proprio per poterli valorizzare tutti a pieno bisognerebbe fare dei distinguo ben precisi. 

Quindi accade che in realtà la cosa più difficile non è scrivere. La cosa più difficile è trovare un pubblico e poter essere apprezzati per poter vivere in contesti giusti che possano valorizzare il tuo lavoro. 

Comunque, come hai detto, il bagaglio culturale che ci ritroviamo alle spalle è immenso. Ma questa è una cosa che ci facilita, non che ci ostacola. Io sono convinto che la cultura sia un’arma per la nostra fantasia e mai un freno. Chi dice che studiare troppo rovina la creatività spesso è perché ha poco da dire. La cultura è il conoscere ciò che è stato fatto e questo ci dà semplicemente delle armi in più per esprimere quello che vogliamo dire.

E visto che per me lo scrivere musica è sempre un po’ un un’auto analisi ed è sempre un po’ un esercizio di sincerità e di libertà interiore il fatto che sia già stato fatto quasi tutto (ogni cosa che ti possa venire in mente di fare bene o male è già stata fatta: nessuno inventa niente) è una cosa che ti dà una libertà infinita. Perché sai che stai “tranquillo” e non c’è alcun problema se vuoi fare un cluster , un “suono strano” o qualsiasi altra cosa. Ripeto nessuno inventa niente. Questo mi permette di essere, in quanto libero, sincero con me stesso.

La cosa incredibile è che se riflettiamo bene capiamo che persino Bach non aveva inventato niente: nessuno inventa niente e tutti insieme creiamo qualcosa di nuovo. Quindi non bisogna affatto avere paura di dire qualcosa per paura che possa essere sbagliato: l’importante è sentirsi liberi e esprimersi, e non preoccuparsi di dover a tutti i costi dire qualcosa di nuovo.

Chi tra i grandi compositori rappresenta per te un modello di riferimento?

E’ una domanda alla quale è difficile rispondere. E’ come quando da interprete ti chiedono quale sia il tuo compositore preferito e non sai mai quale dire. Famosa è infatti la frase: “il compositore che preferisco è quello che sto studiando in questo momento”.

Non ti saprei dare dei nomi anche perché più che modelli di riferimento qui si parla proprio di amore. E allora se devo parlare di amore potrei sicuramente dire Leonard Bernstein, che è stato veramente un grandissimo. Penso che se si fosse dedicato di più alla composizione negli ultimi anni sarebbe diventato ancora più grande. Poi non so, mi piacciono quei compositori che hanno disegnato bene un percorso verso la maturità. Questo vale anche per i pittori. Ad esempio Picasso è uno straordinario esempio. Dal figurativo è passato all’informale, al cubismo, facendo un percorso che nelle sue opere risulta essere leggibilissimo.

Dunque un musicista che mi viene in mente simile è Skrjabin, che da giovane, quando era ancora in conservatorio, ha scritto delle cose romantiche (alcune cose sembrano Chopin!) ed è poi maturato arrivando all’atonalità e a stravolgere un po’ il tutto con con un percorso anche qui perfettamente intellegibile. Ecco questi compositori sono per me un riferimento, senza dubbio. Tuttavia per quel che riguarda poi la fattibilità della composizione, come dicevo prima cerco sempre di sentirmi libero, perciò in realtà mi riferisco a qualunque compositore e a nessuno; a qualunque genere e a nessuno. Non penso mai di copiare: quello che ho interiorizzato affiora e emerge da solo.

Progetti futuri?

Di progetti futuri ne ho tantissimi, ti racconto quello a cui sto lavorando di più. Il quartetto d’archi Vaughan String Quartet, che è un quartetto che si è stabilito in Canada ormai dal 2017, ha eseguito nel loro disco di debutto la mia Suite Porpora che ho scritto appositamente per loro. Avevo inizialmente composto solo il primo tempo della Suite, La Valse. Sono stati però talmente entusiasti che mi hanno poi commissionato altri brani poiché nel CD c’era ancora spazio a livello di minutaggio, quindi potevano registrare ancora. Così ho scritto le altre tre danze (Sarabanda, Minuetto e Tarantella) e ho dedicato a loro l’intera Suite. 

Ora sto scrivendo anche un quintetto, una serenata per quartetto e altri brani ancora. Hanno intenzione di venire qui a luglio per registrare quest’altro CD insieme a me e speriamo davvero di riuscire a fare anche qualche concerto. 

E poi spero successivamente di riuscire ad andare io in Canada a far sentire il nostro lavoro. Quindi ecco questo è un progetto che mi sta portando via un bel po’ di tempo ed energie, perché devo organizzare tutto, scrivere, provare con loro a distanza mandando video, parti eccetera. Posso dire che la mia vita è sempre di più nello scrivere e nel cercare di realizzare quello che ho scritto. 

Un consiglio a tutti coloro che si stanno approcciando alla composizione.

Il mio consiglio a tutti coloro che stanno abbracciando il mondo della composizione è quello di studiare. Studiare, studiare e non smettere mai. Non smettere mai di studiare il proprio strumento, di ascoltare, di conoscere ogni genere di musica. Non si finisce mai. E studiare poi anche altre materie: umanistiche, scientifiche, di tutto. E’ importante non dimenticarsi che un artista è una persona di cultura e deve essere una persona di cultura a 360 gradi. Deve essere un intellettuale. Io non mi ritengo assolutamente una persona di cultura, però ecco penso che si debba protendere a quello. Ennio Morricone diceva che l’ispirazione non esiste e io lo capisco, ha perfettamente ragione.

Certo è vero che l’idea musicale in realtà spesso ti viene così anche senza cercarla, un po’ per caso. Quella possiamo chiamarla ispirazione. Ma poi, rispetto a tutto il lavoro che c’è dietro la realizzazione del brano, dietro a ciò che essenzialmente è lo scrivere, l’idea iniziale è niente. La sensazione che ho sempre quando scrivo è che all’inizio (le prime ore, il primo giorno al massimo) scrivo per me e per la mia idea. Dopo però scrivi per il pezzo, cioè scrivi per farlo venire fuori come senti che deve essere per “farlo bello”. E questo farlo bello dipende dalla tua sensibilità.

E la tua sensibilità dipende dalla tua cultura! Quindi ecco perché in realtà lo scrivere è il il frutto di quello che hai ascoltato, dei film che hai visto, dei libri che hai letto. Di tutto ciò che consiste nel tuo bagaglio culturale. Perché il tuo bagaglio culturale ti porta a sentire in un determinato modo lo sviluppo di quell’idea che hai avuto all’inizio. 

La composizione diventa così un’entità a sé e il compositore è servo della musica. Proprio come l’esecutore, entrambi lavorano per la musica e in funzione di essa. 

Quindi ecco il mio consiglio è di comprendere l’importanza dello studio e l’importanza di dare valore all’esecutore, di non sentirsi diversi dagli interpreti: l’interprete ha lo stesso valore del compositore

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Giulia Scialò

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